25/09/2019
Il fallimento del referendum per la fusione dei Comuni di Cavareno, Romeno e Ronzone, al di là del merito delle scelte, rappresenta un chiaro messaggio che la popolazione ha voluto dare.
Quanto è successo dimostra che la normativa regionale sulle fusioni dei Comuni va profondamente rivista e come legislatore sto lavorando in questa direzione.
È necessario dare nuovi spunti e scrivere nuove regole per evitare esiti negativi come quello dell’alta valle, che creano disorientamento e una frattura nelle comunità. Il “no” di uno dei comuni coinvolti è significativo e non può passare inosservato.
Ritengo che il problema principale sia una sommaria pubblicità delle proposte nei confronti delle comunità interessate, determinata dal poco tempo previsto per questa importante scelta. Per questo è necessario modificare la legge per prevedere un intervallo minimo di sei mesi, in modo tale da informare correttamente la popolazione, sia in relazione ai vantaggi che agli svantaggi della fusione. È fondamentale non solo coinvolgere la cittadinanza ma anche comunicare i contenuti del progetto, dialogando con il mondo associazionistico, le realtà produttive e quelle sociali.
Importante sarà anche favorire le fusioni tra territori omogenei dal punto di vista logistico ma anche per quanto riguarda le attività economiche presenti (agricoltura, turismo ecc.), dove sia auspicabile una fusione.
Inoltre, la legge dovrà prevedere un lasso di tempo minimo di 5 anni tra una consultazione referendaria e la successiva, al fine di evitare situazioni di “stress elettorale”che sono negative per la comunità. Centrale all’interno della mia proposta sarà la possibilità di valorizzare il voto dei comuni in cui il “Sì” ha prevalso, evitando che un unico “No” blocchi l’intero progetto.
Altri passaggi importanti saranno la creazione di un chiaro indirizzo politico, affinché i Comuni di ridotte dimensioni si fondano per conseguire un reale efficientamento della gestione. Tale indirizzo dovrà essere bilanciato da una maggiore autonomia delle comunità interessate, attribuendo alle frazioni la possibilità di recedere da una fusione, in deroga al requisito minimo demografico di 3.000 abitanti.
Sono tutte azioni che favoriranno delle vere fusioni e non accorpamenti nati da affrettate scelte di amministratori; in passato abbagliati da consistenti incentivi finanziari, ora da amicizie (peraltro condivisibili) fra amministrazioni territoriali e non da profonde e condivise valutazioni dell’intera comunità.