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Marchiori (PATT): Gli autonomisti non sono spariti e l’autonomismo non si è sciolto

16/09/2019

Mi sono preso alcuni giorni prima di rispondere al fondo del Direttore Mantovan in cui, molto provocatoriamente, evocava il “fantasma dell’autonomismo” che si aggira per il Trentino. L’ho fatto perché ritengo che l’argomento meriti una riflessione più attenta di una semplice risposta dettata dall’onda emozionale del momento. Sarebbe troppo semplice rigettare le “accuse” al mittente senza cercare di capirne il senso, senza prendere atto che qualcuno si pone determinate domande. Ecco allora che in un contesto politico in cui prevalgono gli slogan, i tweet, le boutade e le facili ma sterili provocazioni, il Direttore Mantovan ci offre l’opportunità di arricchire dibattito politico, quello con la “P” maiuscola.

Vorrei partire innanzitutto da un’enunciazione: l’autonomismo, inteso come linea di pensiero politico, è una forma mentis; è un modo di essere, un derivato culturale. E questa affermazione si avvalora proprio con le parole del Direttore quando scrive che “l’Autonomismo era un tempo professato da molti (se non da tutti) e ora pare sparito”. Egli, infatti, rende lampante quanto gli autonomisti dicono da una vita: troppo spesso in Trentino l’Autonomia è stata usata come argomento elettorale e poi accantonata quasi fosse un elemento di chiusura distintiva e autoreferenziale di cui liberarsi al più presto se non addirittura vergognarsi. Siamo noi del PATT i primi a rammaricarci del fatto che praticamente tutti i partiti del Trentino, ma il discorso vale anche per molte liste civiche, sentano il bisogno irrefrenabile di avere un collegamento nazionale imprescindibile. Come se la politica non si potesse fare senza un cordone ombelicale che ci tiene agganciati alle (ahimè troppo spesso tristi) dinamiche romane. Se i partiti trentini fossero tutti intrinsecamente autonomisti, verrebbe meno anche lo scopo del PATT, perché significherebbe che questa terra, finalmente, potrebbe fare quel salto di qualità culturale, identitario e politico che ancora le manca. Da qui emerge assoluta necessità di un Partito Autonomista che, in qualsiasi ruolo e in qualsiasi sede, tiene acceso il faro e viva l’attenzione su ciò che rende questa terra speciale. Non vorrei peccare di superbia quando affermo che ormai, l’unico baluardo all’omologazione politica del Trentino è rimasto il PATT, grazie a quel 13% di elettori che nelle ultime elezioni provinciali, non si sono fatti trascinare nella diatriba destra-sinistra. Diatriba giocata in gran parte sul campo della contrapposizione (o del peso specifico) di leader nazionali più che di leader locali.

Ed è proprio per tenere fede a questa “mission” anti-omologazione che il PATT ha continuato a battersi anche quando nell’ottobre 2018 il governo provinciale è passato nelle mani leghiste per difendere la nostra Autonomia da attacchi centralisti e nazionalisti. Ricordo il tema della nostra campagna elettorale: “Autonomia: nessun ribaltamento”.

Credo che questo sia il faro guida nella nostra azione di opposizione. Non abbiamo mai mancato di far sentire la nostra voce su nessuno dei temi citati nell’editoriale, a partire dalla Valdastico dove sia le sezioni del PATT della Vallagarina che quelle della Valsugana si sono mobilitate per sostenere la proposta della Giunta Rossi arrivando perfino alla raccolta firme. Anche sul problema dei Grandi Carnivori ci sempre messo la faccia, così come sullo spinoso tema dei Punti nascite. E come non ricordare le battaglie autonomiste che hanno finalmente valorizzato la nostra peculiarità storica, come il Memoriale dei caduti della Prima Guerra Mondiale, il Giorno del Ricordo, l’intitolazione di vie e piazze ad Andrea Hofer, il progetto Historegio, l’insegnamento della storia locale solo per citare le più importanti. Certo, il nostro stile non è quello delle grida in piazza, del misurare chi la spara più grossa, dell’offesa personale. Con serietà, determinazione, pacatezza e, soprattutto, rispetto delle Istituzioni (dote rara in questo particolare momento), abbiamo cercato di far capire che c’è spazio per un’alternativa al quadro desolante ispirato dalla politica italica, che ci si può ancora impegnare per un ideale in cui si crede per passione e non per tornaconto personale.

Per questo non nascondo lo stupore nel leggere il passaggio di Mantovan in cui viene rilevata “la totale assenza di pensiero che sconcerta”. Perché questa osservazione, quale ne sia la motivazione, comporta il disconoscimento del PATT come partito, cioè come protagonista ed interprete della vita politica. Come si fa a non prendere in considerazione le prese di posizione che quotidianamente il Partito, o il suo gruppo consiliare affidano alla stampa?

E di tenore simile appare il passaggio in cui il Direttore afferma che “l’autonomismo si è dissolto nel paraleghismo governativo di Kaswalder e nell’opposizione personale di Rossi”. Non si è forse impegnato il PATT, in questi mesi, a elaborare una propria, originale, linea? Non si è svolto pochi mesi fa un congresso in cui ci si è interrogati proprio sul ruolo che devono avere le Stelle Alpine dopo le elezioni provinciali del 2018?

La linea scelta in occasione dell’assise autonomista, che io ho il grandissimo onore di guidare, è stata molto chiara: checché se ne dica un’epoca si è chiusa e per scrivere una nuova pagina di storia autonomista c’è bisogno di nuovi schemi, nuove idee, nuovi personaggi. Ricondurre tutto il pensiero autonomista a due sole figure appare riduttivo. Certo, nel caso di Rossi è comprensibile il tentativo di leggere la sua posizione come una rivendicazione del ruolo di Presidente della Provincia ricoperto fino a pochi mesi fa. Ma Rossi fa parte di un Partito e ne interpreta la linea in qualità di capogruppo provinciale. Non è di certo un corpo estraneo o un elemento avulso dal PATT. Per quanto riguarda Kaswalder, invece, il suo ruolo di garante di tutte le componenti del Consiglio provinciale lo tiene (o dovrebbe tenerlo) al margine dell’agone politico.

Forse Mantovan, mentre scriveva il suo pezzo, pensava a delle domande ben precise che, tuttavia, non esplicita: il PATT andrà a destra o a sinistra? Andrà avanti nella scelta blockfrei rischiando l’isolamento, oppure ad un certo punto si concederà al miglior offerente, finendo però per tradire gli ideali autonomisti? Bene, se questo fosse era il retropensiero del Direttore cercherò di fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto, come autonomisti non siamo minimamente disorientati fra europeismo e nazionalismo. Come autonomisti siamo fermamente e convintamente europeisti e rigettiamo ogni forma di nazionalismo e centralismo. Su questo tema le idee le abbiamo molto chiare ed è per questo che in questa fase in cui stiamo dialogando con tutte le forze politiche trentine abbiamo più volte sfidato la Lega a chiarire se qui da noi, nella nostra terra autonoma, riesce ad andare oltre alle idee del proprio “capitano” Salvini o se intende seguirle fino in fondo. Se, insomma, la Lega federalista esiste ancora o meno. Perché nel secondo caso ciò sarebbe incompatibile con il PATT: non esiste autonomia con il centralismo ed il nazionalismo. E l’Europa, per quanto sia da riformare, è oggi l’unica garanzia per le grandi sfide che investono soprattutto l’Italia (leggasi immigrazione, globalizzazione, rafforzamento dell’economia e incidenza internazionale) e per le piccole patrie, come il Trentino, orgogliose della propria identità. Ma alla Lega chiediamo anche di prendere le distanze da un linguaggio che non appartiene ad una politica sana: il “ci prenderemo Trento” pronunciato da Salvini a Pinzolo è un insulto agli elettori, che sono gli unici titolati ad investire una forza politica dell’onore di amministrarli.

Ma la sfida l’abbiamo lanciata anche al centrosinistra, con il quale abbiamo collaborato per più di 20 anni (dal 1994 con le giunte di Carlo Andreotti in avanti): c’è in quell’area politica la consapevolezza che la litigiosità e l’inconcludenza hanno stufato una larga fetta di elettorato che pretende dalla politica serietà e capacità di rispondere alle sfide? C’è la volontà di sporcarsi le mani con temi delicati e scottanti come quello dell’immigrazione o si vuole in continuazione girarsi dall’altra facendo finta di non vedere? C’è spazio anche per sensibilità diverse, come quella autonomista?

Aldilà, però, delle coalizioni politiche che il Partito Autonomista andrà a costruire, serve anche una maggior consapevolezza che anche gli strumenti su cui si basa la comunicazione influenzano quello spirito autonomistico che sta alla base di questa terra. Perché dallo smarrimento dello spirito della cooperazione trentina all’omologazione politica nel voto, dalla perdita del senso di appartenenza al riaffiorare di sentimenti nazionalisti e di odio, bisogna riconoscere che un ruolo fondamentale l’hanno giocato anche gli organi di stampa, che, se adesso si pongono il problema di dove siano gli autonomisti, finora non hanno mai perso l’occasione di denigrare ogni iniziativa che cercasse di marcare la specialità di questa terra. Basti pensare, a mero titolo d’esempio, a quando Franco Panizza aveva proposto di ospitare alle Albere la “casa dell’Autonomia trentina” o a quando Ugo Rossi aveva provato a istituire un “centro studi dell’Autonomia”: in entrambi i casi i media per primi avevano fatto a gara ad affossare questi progetti bollandoli come localisti, provinciali, autoreferenziali e così via. Adesso, però, farebbero comodo per contrastare gli estremismi e per aumentare la percezione di una specialità che rischia ogni giorno di essere eliminata.

Più che cercare gli autonomisti (o i loro fantasmi) io lancerei un appello perché chi crede che la politica possa ancora fare la differenza si sieda attorno ad un tavolo e lavori ad un’idea di Trentino più autonomo, più giovane, più all’avanguardia, più innovativo e coraggioso. Certo, come giustamente sottolineato da Lorenzo Dellai (finalmente! Il PATT lo ha sempre sostenuto ed ha già presentato un disegno di legge), cambiare la legge elettorale tornando ad un sistema proporzionale, agevolerebbe questo progetto eliminando gli estremisti e gli uomini soli al comando. Ma c’è prima di tutto la necessità che le culture politiche che storicamente hanno dato molto a questa terra (mi riferisco a quella autonomista, a quella cattolica, ai cosiddetti moderati) trovino lo stimolo e lo slancio di riportare il Trentino ad essere un laboratorio politico unico ed originale.

In questo senso gli autonomisti sono pronti e combattivi, ma vogliono sapere se altri movimenti politici e la società trentina stessa, quella sana, produttiva e innovativa, hanno la stessa voglia di impegnarsi o se, invece, si aggirino fra di loro i fantasmi evocati da Mantovan.