17/07/2017
Troppo spesso il dibattito relativo ai migranti, agli sbarchi sulle coste dell’Italia meridionale e alla ripartizione dei profughi sul territorio vede uno sterile contrapporsi di posizioni radicali che altro non fanno che aumentare il livello di scontro e la negativa percezione del fenomeno. Soprattutto negli ultimi giorni si è assistito ad un’escalation, sia nazionale che locale, di prese di posizione che, molto spesso, vanno ad intrecciarsi con il tema della sicurezza. Un fenomeno preoccupante che di fatto lascia la paternità di qualsiasi intervento ai partiti di destra, mentre la sinistra evita di “sporcarsi le mani” con soluzioni anche forti per non si sa quale infondato timore di passare troppo dall’altra parte della barricata. Non ultimo l’intervento nei giorni scorsi di alcuni consiglieri provinciali, uno in particolare proveniente dalla maggioranza, che si ergono a massimi esperti in materia senza però portare alla discussione alcuna proposta di soluzione.
La realtà dei fatti, invece, è che mai come oggi ogni tipo di situazione necessita di essere affrontata. La politica, quella vera, non può permettersi di aggirare i temi caldi classificandoli come “di parte”. Essere al governo significa trovare le soluzioni migliori per i problemi che vengono percepiti dalla popolazione, che in quanto tale ha bisogno di risposte. Abdicare a questo significa rinunciare a governare.
Tornando al tema dei migranti, sono fermamente convinto che, se da un lato resta sacrosanto il dovere di soccorrere chi si affida a degli aguzzini per una perigliosa traversata del Mediterraneo pur di poter contare su migliori condizioni di vita (quando il viaggio della speranza non sia dettato addirittura da guerre e persecuzioni), dall’altro appare ancora più ovvio che l’opera di accoglienza non può essere portata avanti da un solo Paese, nel caso specifico l’Italia, senza il minimo aiuto degli altri stati europei. E questo è un punto fermo del quale si deve assolutamente tenere conto.
Nei recenti vertici svoltisi a livello europeo, il Governo italiano è riuscito ad ottenere nell’ordine: dinieghi di aiuto, apprezzamenti ed encomi per l’attività svolta, vicinanza morale, fumosi manifesti d’intenti per un aiuto che non preveda una equa ripartizione dei profughi fra i vari Paesi.
Per chi, come me e come l’intero Partito Autonomista, è fortemente convinto dell’ideale europeista di cooperazione ed integrazione, questa situazione è a dir poco paradossale. In questo momento, infatti, il vero problema non è tanto l’Europa in sé, quanto una aggregazione di Stati che, anziché ragionare in modo unitario, continuano a portare avanti solo ed esclusivamente i propri interessi nazionali. Ciò che manca, insomma, non è una Europa forte (locuzione priva di significato dato che l’Europa non è un’entità celeste ma una aggregazione di Stati sovrani), ma dei leader europei in grado di andare oltre i piccoli e stretti confini dello Stato di appartenenza. E l’esempio più significativo e lampante, e forse anche il più deludente, è quello incarnato dal giovane e fresco di elezione Presidente francese Macron, il cui spirito europeista sembra essersi dissolto proprio a contatto con le acque del Mediterraneo.
È necessario, a questo punto, che anche l’Italia prenda atto del clima europeo e reagisca immediatamente. Ma non con dei timidi richiami alla responsabilità europea. E nemmeno pensando di risolvere il problema degli sbarchi, che è un’emergenza che continua a perpetrarsi ormai da tempo, con un piano di aiuti per l’Africa che, pur indispensabile, porterà i suoi frutti nel lungo periodo e, quindi, fra qualche anno. “Aiutiamoli a casa loro” è uno slogan certamente affascinante ma che non sottintende alcuna soluzione nell’immediato.
Quello di cui c’è veramente bisogno oggi è di un’azione dirompente. Un atto di forza e di coraggio, che metta con le spalle al muro gli altri Stati europei costringendoli a cominciare a ragionare come un tutt’uno e non come tanti singoli separati. E siccome se ragioniamo come un insieme unico i confini meridionali dell’Italia sono anche i confini meridionali dell’Europa, dato che nemmeno stavolta è arrivata una risposta chiara, forte ed unitaria, lo Stato italiano deve portare avanti l’unica azione in grado di sparigliare le carte: la chiusura totale dei propri porti.
Tenendo ben presente che questa non è la soluzione al problema: i movimenti di popoli ci sono sempre stati e non sono mai stati fermati nemmeno dai muri (si pensi alla grande muraglia cinese, ai valli romani, ecc.). Questa è, molto più semplicemente, l’ultima, forte, per certi versi disperata, azione che può mettere in campo uno Stato che non può essere accusato certamente di non aver fatto la propria parte nella gestione degli sbarchi (forse anche troppo), ma che ora non è più in grado di gestire oltre l’emergenza.
Qualcuno potrà dire che questa è un’ammissione di incapacità, ma penso che, di fronte a migliaia e migliaia di sbarchi, uno Stato che ha già fin troppi problemi, possa tranquillamente correre questo rischio. Chi, forse, non può permettersi di far finta di nulla sono gli altri Stati europei che, in questo caso, si assumerebbero la responsabilità di quello che potrebbe accadere nelle acque del Mediterraneo.
Trento, 09 luglio 2017
Simone Marchiori
Vicesegretario politico PATT