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Un’Europa più democratica

28/06/2019

Più Europa e, soprattutto, un’Europa più democratica: è questa la richiesta, inequivocabile, che la maggioranza dei cittadini europei ha avanzato lo scorso 26 maggio. Il tasso di partecipazione più alto degli ultimi vent’anni e il successo delle forze moderate nella maggior parte degli stati membri sono lì a dimostrarlo.
È passato un mese esatto dal voto europeo e non è ancora chiaro chi sarà il prossimo presidente della Commissione, figura chiave nel sistema di governo dell’Unione.
Fa parte del normale esercizio democratico che i partiti in Parlamento si mettano al lavoro all’indomani del voto per cercare di creare una maggioranza ed eleggere un capo del governo. La regola che l’Unione europea si è data per scegliere il proprio capo di governo è il sistema degli Spitzenkandidaten, termine tedesco che indica i “candidati-guida” dei vari partiti europei e che stabilisce che il capolista del partito che arriva primo deve essere indicato presidente della Commissione europea.
Secondo questa logica, Manfred Weber, capolista del Partito popolare europeo, il più grande gruppo nel nuovo Parlamento, dovrebbe ricevere l’incarico a presiedere l’esecutivo europeo. Ma sembra che alcuni colleghi e soprattutto, i capi di stato e di governo, abbiano dimenticato questo semplice principio democratico. Essi rifiutano di riconoscere la vittoria di Weber, dicendo che manca di esperienza e cercano ogni pretesto per smontare la sua candidatura.
È chiaro che la presunta “mancanza di esperienza” di Weber è solo un comodo pretesto: basti pensare che un terzo dei capi di governo degli stati membri non aveva alcuna esperienza governativa prima di essere eletto.
La verità è che gli stati membri non vogliono un presidente della Commissione legittimato da un Parlamento democraticamente eletto. Vogliono qualcuno di loro fiducia, che sia loro riconoscente e che sia pronto a seguire le loro indicazioni.
È una questione che va al di là della nomina di Manfred Weber. La scelta è tra accettare la democrazia, dando finalmente alla Commissione europea e al suo presidente il potere di cui hanno bisogno per esercitare il loro mandato, o continuare con la diplomazia opaca delle segrete stanze.
La dice lunga il fatto che proprio Emmanuel Macron, colui che in Europa fa di tutto per presentarsi come il nuovo che avanza, abbia annunciato lo scorso fine settimana, in maniera trionfale, che tutti i capolista dei vari partiti erano fuori dai giochi per la nomina del nuovo presidente della Commissione.
Questo non è certo il rinnovamento di cui l’Europa ha bisogno. Il Parlamento europeo deve rigettare in maniera categorica questo atteggiamento e rifiutarsi di votare un candidato alla presidenza della Commissione che non ci abbia messo la faccia durante la campagna elettorale.
Altrimenti tra cinque anni nessun politico di punta vorrà più guidare una lista europea. E così l’Unione europea diventerà sempre più una vaga e blanda alleanza tra stati e sempre meno una comunità basata sull’accettazione di un diritto comune e di comuni principi democratici.
Esattamente ciò che vogliono i populisti di estrema destra, guidati da Matteo Salvini e Marine Le Pen. I capi di stato e di governo, primo tra tutti Emmanuel Macron, si dicono grandi europeisti ma in verità mettono in gioco il futuro dell’Europa democratica per ragioni di opportunismo personale.
In questo modo regalano ai populisti di estrema destra quella vittoria che i cittadini hanno loro negato.